Dopo parecchi anni ho avuto modo di visitare nuovamente la Napoli sotterranea, uno degli aspetti più affascinanti della mia città natale.
Devo ammettere che è stata un’esperienza ispiratrice da più punti di vista, ma mi ha portato anche ad alcune riflessioni.
Gli articoli precedenti di questa serie erano volti a fornire spunti ed idee principalmente per i narratori e master: in questo caso mi rivolgo maggiormente ai giocatori ed al modo di affrontare un dungeon.
No, non fraintendetemi, non sarà un articolo con trucchi per aggirare gli ostacoli o sconfiggere più facilmente i mostri.
Molto spesso l’interpretazione nel gioco di ruolo viene considerata come una componente limitata all’interazione tra il proprio personaggio ed altri ed un mezzo fondamentale per esternare il suo profilo psicologico ed emotivo.
E fin qui è tutto sacrosanto.
A volte però il perno su cui ruota il divertimento nel gioco di ruolo viene temporaneamente sostituito da un atteggiamento che oserei definire meccanico, più simile a quello assunto da chi partecipa, per esempio, ad una partita a Monopoly o Risiko!: si procede in una specifica sequenza di mosse dettate dalla logica e non c’è un ruolo da interpretare come lo si farebbe nei gdr.
Per comprenderci meglio…avete mai notato come il “comportamento” di un gruppo cambia drasticamente appena si addentra in un dungeon? Ordine di marcia, chi porta la torcia, il ladro avanza in cerca di trappole, i fragili maghi indietro, e così via.
I personaggi non smettono di provare ed esternare emozioni una volta dentro il dungeon, anzi: dovrebbe essere il luogo dove la tensione e la paura si respirano nell’aria e in cui è più che facile cadere vittima non solo dei suoi abitanti, ma anche della suggestione e di pericoli “immaginari” nascosti nel buio o dietro un angolo.
Qualche esempio?
Claustrofobia
Quando si ha a che fare con un complesso di cunicoli naturali molto stretti o semplicemente l’assenza di uno spazio aperto sulla propria testa comincia a divenire ossessionante, si rischia di diventare preda del terrore per gli ambienti angusti: un personaggio potrebbe andare in panico dinanzi ad una crepa da esplorare e concedersi reazioni isteriche che facilmente potrebbero attirare le creature che infestano il dungeon. Peggio ancora il restare paralizzati dalla paura nel bel mezzo di uno di questi strettissimi varchi, impedendo al gruppo alle sue spalle di proseguire.
È una sensazione terribile, ho avuto modo di provarla come spiegavo all’inizio dell’articolo: circa duecento metri in una larghezza di cinquanta centimetri scarsi, camminando di lato senza potersi fermare. Immaginate se il guerriero del gruppo, già costretto ad abbandonare corazza ed armi ingombranti per imboccare questo percorso, a metà strada si paralizzasse per paura o iniziasse a gridare ed imprecare per tornare indietro…
Il terrore di rimanere a lungo intrappolati in spazi molto stretti o il sentire la mancanza d’aria laddove non si riesce a vedere il cielo possono essere due fantastici spunti interpretativi per i personaggi che affrontano un dungeon, rendendo la classica esperienza esplorativa molto più avvincente.
Buio
Sin dalle prime edizioni di D&D ho scarsamente tollerato quelle razze di personaggi, selezionabili dai giocatori, in grado di vedere perfettamente nel buio: i nani sono un classico esempio.
Ma chiunque sia dotato di un minimo di buonsenso sa che giorni, mesi o anni nel sottosuolo non possono portare allo sviluppo di una vista superiore ma bensì a quello di una “non-vista”: si diventa ciechi come le talpe ma ci si orienta e si distinguendo spazi e pareti circostanti con il suono o le vibrazioni, al più i propri occhi possono sfruttare meglio la presenza di fonti di luce molto fievoli in ambienti più scuri, ma gli occhi di un personaggio non dovrebbero MAI beneficiare di una vista perfetta nella totale oscurità a meno che non sia ottenuta con mezzi non naturali. Ci rendiamo conto di quanta atmosfera si perde una volta che il buio è stato neutralizzato, di come venga a mancare la tensione che sale quando l’ultima torcia si sta spegnendo e il pathos crescente del vagare alla cieca in corridoi infestati da mostri?
Proviamo oppure a immaginare un gruppo che, rimasto senza luci, inizia a vagare alla cieca, tastando le pareti, fino a giungere in un’area illuminata della struttura e rendersi conto di aver perso totalmente l’orientamento e non sapere dove ci si trova…
Disorientamento
A volte il master disegna gradualmente la mappa di un dungeon per i suoi giocatori man mano che avanzano, a volte sono i giocatori a disegnarla sulle indicazioni del master: ciò che però loro riportano sul foglio è quello che i personaggi stanno trascrivendo durante l’esplorazione, o almeno così dovrebbe essere.
Che ci sia almeno un personaggio nelle condizioni di abbozzare una mappa su un foglio di pergamena, quindi. E un foglio, per sua natura, si può smarrire, bruciare, bagnare o sgualcire.
E, posso garantirvelo, quando i giocatori perdono l’orientamento e non hanno più una mappa di riferimento le cose si complicano ed il divertimento si moltiplica.
Abitanti
Se a tutto questo aggiungiamo il pericolo rappresentato dalle creature che vivono nel dungeon, la sessione sarà grandiosa: loro probabilmente conoscono a menadito il luogo, hanno sviluppato sensi od organi in grado di farli orientare perfettamente ed individuare ostacoli ed estranei, sono di gran lunga avvantaggiati rispetto al gruppo di esploratori…tutto questo non rende eccezionale la sfida che si para davanti ai giocatori?
Un’ultima considerazione: il dungeon non è semplicemente un labirinto costellato di mostri, trappole e tesori.
E’ un’esperienza del gioco di ruolo che merita lo stesso rispetto di tutte le altre, non va considerato solo come un intermezzo in cui agire meccanicamente usando le abilità e l’equipaggiamento dei personaggi.
Rendete la vostra interpretazione degna del luogo che i vostri personaggi stanno esplorando, provate ad immedesimarvi nel loro stato d’animo.
Vi garantisco che ne guadagnerete in divertimento e vi sentirete soddisfatti della vostra prestazione.
Non mi credete? Provate a partecipare ad un LARP fantasy ed entrare in un dungeon allestito, molto spesso, dall’associazione che vi ospita: l’ho affrontato da giocatore e gestito da narratore, se non vi fidate di quello che vi dico io vi renderete conto sulla vostra pelle quanti brividi, tensione e divertimento può portare l’immedesimazione in un personaggio lanciato all’esplorazione di oscuri corridoi!
Maxwell Vai al profilo 11 Agosto 2013 – 10:43
l ‘ articolo è interessante , ma come tutte le cose ci vuole il giusto equilibrio .
è bello utilizzare le varianti dei Dungeon al buio solo ogni tanto ,
in maniera massiccia stressano solo i giocatori .
conoscevo 1 Master (Claudio) che trasformava le esplorazioni in sessioni di alfabeto braille .
x ironizzare chiamavano il gioco Claudion & Buion .
Fil Vai al profilo 13 Novembre 2013 – 01:47
Anch’io molto spesso noto come i giocatori si dimentichino in fretta (se mai provano a rendersene conto) di dove si trovano quando esplorano dungeon bui, stretti, pieni di rumori sinistri o decorazioni angoscianti. A volte scherzano già mentre cerco loro di descriverli.
Però è anche vero che non sono loro nei dungeon, ma i loro personaggi, che si presume siano avventurieri con un minimo di coraggio e sprezzo del pericolo. Non si può ragionare con la logica di noi persone attuali, abituate alle comodità, alla luce elettrica e a tutte le meraviglie dell’occidente. Alla fine si interpretano creature che vivono in un mondo dove il buio, lo stretto, la morte, le difficoltà, i mostri e tutto il resto sono molto più all’ordine del giorno.
Alla fine va sempre trovato il compromesso tra la voglie di realismo e il desiderio di divertimento (e il tempo a disposizione… in poche ore di sessione se ci si ferma su ogni dettaglio ogni volta si fa un dungeon all’anno 😉
Kaythal Vai al profilo 13 Novembre 2013 – 12:13
Come ha detto Fil, nei dungeon vanno gli eroi dei giocatori, non i giocatori stessi. E dopo il flop della I ed (chi si ricorda la tenia prima ancora di entrare e il rugginofago alla seconda stanza?), D&D cerca di simulare incontri epici, o almeno promesse di tali incontri. Ho personalmente giocato un elfo claustrofobico ed era divertente da ruolare, ma non lo imporrei a chi magari non è interessato a questi aspetti.
Detto questo concordo sulla parte del disorientamento: quando masterizzo i giocatori sono responsabili delle mappe (sia in dungeon che all’aperto). Se la mappa viene persa o se non si ricordano se il paese dove devono andare è a est o ovest son cavoli loro.
Fil Vai al profilo 13 Novembre 2013 – 19:19
Io mi trovo molto bene col Dinamic Lighting di Roll20. I giocatori vedono tutto nero sullo schermo se non quello che rischiara la luce da loro portata o presente nel dungeon. Ho presieduto a combattimenti in templi pieni di colonne dove in base allo spostamento del personaggio che porta la torcia tutto lo scenario luce ombra cambiava dando enorme realismo!